Coaching è il nome di moda che si dà oggi ad una cosa che si è sempre fatta nelle sane relazioni di collaborazione: aiutare a porre l’attenzione dove è utile per raggiungere gli obiettivi.
Quando si parla di “coaching manageriale” in genere si intende l’insieme dei processi e dei modelli che vengono utilizzati per aiutare il manager a raggiungere gli obiettivi aziendali.
In un contesto stabile o dove i cambiamenti sono prevedibili, il coaching si limita a specificare gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti per farlo.
Questo è quanto è stato fatto con ogni intervento di formazione ben riuscito.
Viceversa in un contesto in rapido cambiamento, il conformarsi a comportamenti previsti non garantisce più la vita dell’azienda: i comportamenti richiesti non possono essere del tutto definiti a priori e interamente pianificati e controllati, pertanto la formazione tradizionale perde la propria efficacia.
In un contesto che cambia l’azienda può vivere solo se evolve, accogliendo e valorizzando le novità che emergono dalle risposte responsabili, vale a dire dalle scelte libere e aderenti ai propri obiettivi e alle circostanze che si vivono.
Il coaching, rispetto alla tradizionale formazione, aggiunge la dimensione evolutiva e opera anche ad un livello logico differente.
Ha lo scopo di far acquisire strumenti per apprendere, vale a dire mantenere l’attenzione e l’azione rivolte agli obiettivi aziendali senza danneggiare se stessi e, di conseguenza, danneggiare presto o tardi anche l’organizzazione.
Con il coaching si passa dal livello della formazione, che è il livello dell’assunzione di obiettivi e dell’esperienza nell’uso degli strumenti, al livello dei presupposti (che danno forma agli strumenti e ai processi) e della loro consapevole ed esplicita negoziazione.
Il passaggio a questo livello è necessario per guadagnare la capacità di risposta ai cambiamenti che permette di mantenere il proprio equilibrio e l’equilibrio del sistema partecipato.
Nella formazione tradizionale, con l’attenzione agli obiettivi dati e agli strumenti per raggiungerli, il livello di complessità si limitava ad una dimensione lineare (se fai x succede y) o circolare di primo grado (faccio x, valuto lo scostamento da y-atteso, correggo con x1, rivaluto…).
Nel coaching il livello di complessità aumenta, aumentando il grado della circolarità considerata: quella che realizza l’armonia fra i propri obiettivi e quelli condivisi.
Il Coaching Emozionale risponde pienamente allo scopo di un buon coaching: aumentare la responsabilità di ogni individuo in funzione dell’evoluzione creativa del sistema partecipato.
Detto in altri termini: il Coaching Emozionale aiuta ad aumentare la capacità di risposta (la respons-abilità) dell’individuo e dell’organizzazione di cui è parte.
Come è possibile?
Perché le emozioni sono il sistema di comunicazione fra il livello di equilibrio individuale e quello sociale.
Le emozioni infatti ci informano contemporaneamente sul nostro stato di benessere-malessere e sul nostro modo di interpretare la realtà.
Emozione: una sensazione fisica legata a un significato.
Le emozioni ci informano di relazioni, e non di oggetti, di come guardiamo il mondo, e non del mondo.
L’obiettivo del Coaching Emozionale è rendere le persone, individualmente e nel lavoro di gruppo, più abili a rispondere (più respons-abili).
Che di conseguenza si liberino è un felice corollario del processo di professionalizzazione.
Per l’azienda è necessario che la responsabilità individuale sia promossa affinché le persone coinvolte nel cambiamento siano in grado di rispondere con soddisfazione, e conseguente impegno.
Un modo per rendersi più responsabili è accorgersi dei presupposti invisibili in base ai quali reagiamo automaticamente (e quindi in modo non libero) per trovare alternative da negoziare con noi stessi e con gli altri.
L’esplicitazione di tali presupposti, grazie alla capacità di riconoscere le emozioni, rende possibile la loro negoziazione e dunque la vera partecipazione alla definizione degli obiettivi e all’ideazione dei percorsi per raggiungerli.
Il breve percorso di Coaching Emozionale parte dal riconoscere i disagi, e risale poi da essi ai presupposti in base ai quali agiamo automaticamente. Diventa così possibile negoziare tali presupposti con se stessi e con gli altri per ridefinire i contesti relazionali più efficaci per raggiungere gli obiettivi condivisi.
Ecco alcuni esempi di disagio personale che ho incontrato in azienda, ma alla declinazione della sofferenza non c’è limite.
Da questi substrati emergono problemi che si riflettono sulla flessibilità organizzativa e che inceppano i processi vitali di collaborazione.
Competizioni e incomprensioni che cercano soluzioni in procedure e documentazioni difensive invece che utili.
Come spesso è stato inutile affrontarli con corsi di formazione dai titoli che esprimono uno sguardo ad un livello logico che ignora i presupposti: motivare i propri collaboratori, time management, essere leader, come delegare...
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